Ritiro scolastico e ritiro sociale - Katia Provantini
Ritiro scolastico e ritiro sociale
Profilo di funzionamento e fattore di rischio, ciclo di incontri a cura di Katia Provantini.
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Essere insegnante vuole dire lasciare un segno in una relazione
Essere insegnante vuole dire lasciare un segnoin una relazione
ESSERE INSEGNANTI OGGI
“Noi riceviamo vita solo da chi la vita la sa mettere «a fuoco»,
chi è «passato» nel mondo e ce ne ha lasciato una mappa:
poi sta a noi camminare e aprire nuove strade”
A. D’Avenia
Sveglia, doccia, colazione e via in macchina…
Dopo la solita coda in tangenziale, finalmente raggiungo la mia amata Via Milano, dove il mio sguardo si imbatte su abbracci di ragazzi, baci dei genitori, corse per prendere la merenda. Arrivata a scuola, entro nell’atrio pieno di ragazzi che parlano tra di loro e, al suono della campanella, si dirigono verso le loro classi; salgo le scale, saluto i collaboratori e colleghi e, con PC alla mano, mi incammino verso l’aula dove trovo gli alunni che mi aspettano. Un buongiorno sorridente ed energico. Fino a due mesi fa la mia giornata si apriva con questa routine. Ora invece mi ritrovo nella mia casa, apro la piattaforma per vedere se ci sono nuovi messaggi o se sono stati inseriti nuovi compiti. China sulla tastiera con la posta elettronica piena di notifiche tra messaggi di accettazione della lezione e richieste di spiegazioni aggiuntive, posiziono la telecamera, e mi introduco nelle abitazioni dei mei alunni, cercando di dare lo stesso buongiorno, rafforzato, sorridente, ed affettuoso. Quando vedo che sono tutti connessi, quel buongiorno si colora e vibra di emozioni, le più disparate. Vedo ragazzi che sono cresciuti che hanno smesso di essere infantili, improvvisamente; altri invece hanno fatto un percorso opposto di chiusura e di paura; altri ancora che hanno bisogno di attenzioni più del solito e chiedono momenti da dedicare a loro. Li stiamo osservando senza dare giudizi e mi prendo il tempo di vedere queste loro metamorfosi.
Ma una tastiera e una webcam possono essere il punto di contatto di un percorso formativo?
E in che modo possiamo continuare a prenderci cura di ciascuno ragazzo?
Può essere questo un nuovo modo di essere vicina a loro?
Sono sufficienti un appello, chiedere di accendere una telecamera, rispondermi:
“Prof. presente!”, “Prof. la connessione è debole!”, “Prof. ma il compito è arrivato? Prof. ma quando mette i voti?”
Se mi avessero raccontato una simile situazione, non ci avrei creduto. Molte sensazioni di questo periodo mi rimandano ad una narrazione di altri tempi, scenari dei racconti dei miei genitori che avevano vissuto la guerra, quella vera, in un clima di bombardamenti, qui a Parma. In questa pagina mai scritta sui libri, insieme alla mia comunità scolastica, deve prevalere ancora di più il ruolo di noi docenti -mediatori, nello specifico trasmettere la calma in un momento che disorienta per l’incertezza che ci pervade. Tutti insieme stiamo cercando di trasformare questa nuova relazione in un’occasione per tutti, per rafforzare i rapporti, per accorciare le distanze, misurando anche un modo nuovo di azioni didattiche, sperimentate da autodidatta, a volte con telefonate chilometriche con colleghi che, seppur distanti, sono più vicini di quanto si possa immaginare. L’esperienza della vita di una classe, di una sala insegnanti, di un corridoio alla ricreazione, però non è paragonabile a tutto questo.
Quali emozioni scaturiscono in un’aula? Quanto è importante guardarsi negli occhi? Quanto conta capire che non è il momento di fare lezione di italiano o storia o geografia e stravolgere il programma scolastico giornaliero? Anche ora essere insegnante vuole dire lasciare un segno in una relazione che prende per mano, che cerca di far crescere e far diventare i nostri ragazzi, giovani adolescenti, uomini e donne del domani. Questi sono i valori che voglio e continuo a trasmettere anche con la telecamera accesa o spenta, con la connessione lenta o veloce, con il telefonino o con il pc. Con gli alunni e i genitori, con la dirigente, i colleghi e i collaboratori si è fortificata una nuova intesa che ha invaso i nostri spazi interiori, nella speranza che l’umanità sia un’unica grande famiglia che soffre e che spera, al di là dei confini geografici.
Prof. Angela Martelli – IC Micheli
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CORONADIARIO DELLA 5B MARIA LUIGIA
CORONADIARIO DELLA 5B MARIA LUIGIA23 Febbraio - 8 Aprile:
I RE E LE REGINE SIAMO NOI
ESSERE INSEGNANTI OGGI
Da un giorno all’altro e senza che niente lo facesse immaginare, ci siamo trovati a casa invece che a scuola. La prima settimana ci ha fatto tutto sommato comodo: eravamo eccitati ma spossati dall’allestimento di un memorabile spettacolo nello storico teatro della nostra scuola: LA SAGA DELLE 27 OPERE DI VERDI, nella quale abbiamo messo in scena tutte le opere del grande Giuseppe Verdi impersonando Giovanna d’Arco, Attila, Oberto Conte di San Bonifacio, Aida, Rigoletto, Otello e tutti gli altri personaggi delle opere verdiane. Eccoci quindi a casa, prima ancora della pandemia, con tanta nostalgia l’uno dell’altro e il desiderio di TENERCI IN CONTATTO. Detto e fatto: chat di gruppo, videochiamate, telefonate e scambio non solo di semplici messaggi ma, soprattutto, condivisione di tutti i lavoretti e le iniziative che abbiamo iniziato a portare avanti insieme. Quale momento migliore per esternare le nostre sensazioni, le nostre emozioni e, perché no, i nostri talenti? Abbiamo pensato, in linea col percorso fatto in questi cinque anni, di affidarci alla forza della scrittura per intraprendere un viaggio interiore personale e, in contemporanea, di classe ed esternare i nostri sentimenti anche per vincere la paura. Anche disegnare è un momento creativo che ci ha aiutato allo stesso modo della scrittura.
Maestra Barbara Mondelli
1. Esempio di didattica a distanza…da una professoressa
Esempio di didattica a distanza…da una professoressa
ESSERE INSEGNANTI OGGI
Insegnare al tempo del Coronavirus?
Ho provato a mettere insieme digitale e apprendimento autentico! Quindi, in un momento difficile come questo, in cui e’ impossibile fare lezione frontale (“Prof. non sento!” “Prof. non vedo la presentazione!” ?) e in cui un accumulo di informazioni non provoca certamente apprendimento, l’idea e’ stata quella di far esplorare, condividere e creare qualcosa di nuovo.
I temi che ho scelto sono autentici, legati alla programmazione scolastica ma in maniera più coinvolgente e consistente, capaci, cioè, di attivare i ragazzi dal punto di vista cognitivo e cooperativo. Ad esempio, abbiamo utilizzato dati per analizzare la realtà, provato ad argomentare in maniera più coinvolgente, dato risposte alle nostre letture (vd. immagine), utilizzato i videogiochi per imparare. Per quanto riguarda il primo tema e il suo utilizzo nella disciplina geografia in una classe seconda, e’ stato possibile, con il software online Canva , far lavorare gli studenti in modo, per l’appunto, creativo: in tempo di #iorestoacasa abbiamo realizzato delle cartoline di promozione turistica di un Paese europeo oppure abbiamo lavorato alla progettazione di infografiche.
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La scuola non si ferma
La scuola non si ferma
ESSERE INSEGNANTI OGGI
Quando ho sentito per la prima volta la notizia della chiusura della scuola non ero ancora consapevole del forte cambiamento a cui dovevo far fronte.
Un cambiamento non solo in termini di competenze tecnologiche ma, soprattutto, di stile di vita quotidiana e lavorativa. L’emergenza mi ha messo di fronte, infatti, alla necessità di scoprirmi insegnante anche a distanza, trovando nuove interconnessioni, nuovi modi per colmare la “non presenza”.
Con tanti miei colleghi, abbiamo trasmesso informazioni, condiviso contenuti, file audio, video, ma soprattutto esperienze. Questo periodo così travagliato è vissuto da tutti noi con il desiderio di esserci per i ragazzi e la tecnologia si è rivelata un alleato potentissimo. Così, alla fine. tutti si sono messi in gioco, anche i più scettici, sperimentandosi in un bel gioco di squadra, a distanza. Telefoni bollenti, “ripetizioni” di tecnologia da parte dei colleghi più esperti, un moltiplicarsi di chat “fiume” e riunioni.
Ci siamo attivati quasi subito proponendo ai ragazzi di incontrarsi in Google Meet e la loro risposta è stata immediata: i ragazzi ne avevano bisogno, la solitudine e la noia li spingevano a cercare il contatto con la scuola e i loro compagni. Dalle chiacchiere iniziali siamo passati alle lezioni vere e proprie. Leggere, ripassare, chiarire dubbi, confrontare i propri compiti con quelli dei compagni, discutere di ciò che stiamo vivendo.
Mi sono chiesta se questa si possa davvero chiamare scuola.
Diciamo cose ovvie quando affermiamo che insegnare implica la presenza, gli sguardi, i movimenti. E’ una soluzione di emergenza che non può sostituire la classe vera. Ma la didattica prosegue grazie all’utilizzo dei dispositivi tecnologici e, anzi, ci permette di fare un balzo in avanti in tema di avanguardia pedagogica che richiede un modo diverso di comunicare e di insegnare.
Anche se a volte essere davanti a uno schermo a parlare, soli, ci fa sentire a disagio, dobbiamo cercare di trasformare quella lontananza in qualcosa di molto più vicino, facendo sentire la nostra a voce e mostrando il nostro volto. Non vogliamo stravolgere la scuola, ma solo cercare di non perderne l’essenza: il rapporto docente-alunno.
Seppur a distanza, la scuola è vicinanza, è stare uno accanto all’altro, è guardarsi, condividere vissuti ed emozioni. La scuola è la rassicurante quotidianità dei volti conosciuti; è sperimentazione di fallimenti e ripartenze; è autonomia, è resistenza.
Resistiamo, allora.
Prof.ssa Franca Guerra
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Ma c’è poi così tanta differenza?
Ma c’è poi così tanta differenza?
ESSERE INSEGNANTI OGGI
La prima settimana, quando ancora non ci eravamo ben resi conto della gravità di quanto stava accadendo, ammettiamolo, ci è apparsa come un dono dal cielo quella inaspettata settimana di stop.
Mi è parso di sentirle le urla di giubilo dei miei studenti e quasi di vederli con quegli occhietti vispi e ridenti che pensavano alla verifica del martedì saltata, all’interrogazione del mercoledì finita sotto l’uscio, alla consegna del venerdì che… marameo!
Ma ammettiamolo: alla notizia, anche noi proff abbiamo alzato gli occhi al cielo in segno di ringraziamento, che una settimana di stop quando le vacanze di Pasqua sembrano ancora un miraggio lontanissimo è come un’oasi rigogliosa in un deserto insidioso fatto di prove Invalsi, consigli di classe, riunioni di dipartimento, colloqui, uscite, soldi da raccogliere, corsi di formazione…
Eh già… Euforia alla notizia la domenica pomeriggio, a letto tardi la domenica sera che tanto l’indomani si poteva dormire un po’ di più, colazione con calma il lunedì mattina…
E adesso? Oddio, adesso?
Si perché noi proff, anche quando cominciano le vacanze, i primi giorni ci giriamo sempre un po’ intorno spaesati, ci aspettiamo che da un momento all’altro qualcuno ci chieda di andare in bagno o ci chieda di spiegargli ancora una volta il complemento predicativo (scoglio insormontabile di molte carriere scolastiche). Quindi figuriamoci come si sono sentiti spaesati molti prof in un lunedì senza scuola, ma che vacanza non era.
Ci mancava qualcosa, vero? Non ci crederete, lo so, ma già il lunedì qualcosa non ci finiva, non quadrava, qualcosa mancava…
Non gli alunni, un giorno è troppo poco per sentirne la mancanza…
Non la collega iperattiva che cerchi di evitare per i corridoi perché le devi dare una risposta per chissà quale progetto, anche perché quel genere di collega ha il tuo numero di telefono e all’occorrenza ti viene a citofonare, per cui non fai veramente in tempo a sentirne la mancanza…
Non la campanella, che è uno strumento infernale, messo lì per ricordarti ogni giorno che non sai ancora organizzarti…
Non le collaboratrici (unica vera categoria temibile a scuola) che hanno sempre un validissimo motivo per sgridarti…
Non il distributore del caffè, che ogni mattina cerchi di raggiungere senza riuscirci mai, perché gli alunni, la collega, la campanella, la collaboratrice…
Io non lo so cosa ci mancasse, cosa non ci facesse sentire a posto, ma penso che fossero un po’ tutte queste cose messe insieme: le persone, le voci, le parole, gli sguardi, i suoni, i rumori, forse addirittura gli odori (e quando dico odori solo un docente che entra in un’aula all’ultima ora sa davvero di cosa sto parlando).
Ma tranquilli, non abbiamo fatto in tempo ad abbandonarci a romantiche malinconie che subito otto nuovi gruppi chat strapieni di proff, spuntati come funghi dopo una notte di pioggia, ci hanno subito riportato alla realtà. Gruppi eterogenei e scoppiettanti che, tra un meme e una faccina, erano accomunati dalla stessa idea di fondo: staremo mica qui a rigirarci i pollici? E così, in prima linea i colleghi più tecnologici, novelli pionieri, seguiti a ruota da quelli volenterosi, hanno cominciato a setacciare le mille possibilità del web per andare a stanare i nostri poveri alunni fin nelle loro case, nelle loro camerette, proprio dove pensavano ormai di essere al sicuro!
Nel caso qualcuno si chiedesse ancora perché gli alunni odiano i proff…
Quanto è passato da allora? Un mese? Forse anche un po’ di più, non li conto i giorni e le settimane, forse l’ho fatto all’inizio, ma adesso mi sembra non abbia più senso: la didattica a distanza, che doveva tappare un buco, ora è la routine e lo sarà, con tutta probabilità, fino a giugno. Solo che, scusi cara Ministra, non avreste dovuto cominciare a dirlo già adesso che non ci saranno gli esami a giugno, perché noi ora come li spaventiamo i nostri studenti? A cosa ci appelleremo noi poveri proff da adesso in poi per le nostre terribili minacce??!! Ci dovremo ridurre a dire che se non studiano Santa Lucia porterà loro solo del carbone? Che Babbo Natale rimanderà al mittente le letterine. Io ci ho provato per la verità (incurante che qualche alunno di terza abbia già quasi la barba), ma niente da fare, niente terrorizza di più un esame scolastico! Ed è proprio perché l’esame fa così paura che mi dispiace che i miei alunni se lo perdano, perché non proveranno l’elettrica leggerezza dell’appena dopo, del tutto finito, della corsa a mettersi il costume per volare in piscina.
Già forse se lo perderanno. E ce lo perderemo anche noi. Che non so se lo sanno gli alunni che ogni volta a giugno gli esami li ridiamo insieme a loro, forse abbiamo meno paura, ma le soddisfazioni, beh quelle, sono impagabili e le condividiamo.
E così, tra una riflessione semiseria e l’altra, mi sono chiesta se poi davvero questa didattica a distanza è così diversa dalla didattica vicina-vicina.
Ovvio che è diversa. Lo dicevo poco fa: gli alunni, le colleghe, la campanella, le collaboratrici, i rumori… Ma anche la porta che non sta chiusa, la finestra bloccata quando in classe ci sono trenta gradi, la LIM che funziona a intermittenza, la sedia senza bracciolo, la fotocopiatrice che si inceppa, la graffatrice introvabile… Perché a noi proff piacciono le emozioni forti, lo avrete capito.
Però la didattica a distanza ci regala chicche fantastiche.
Intanto, non so se voi lo avete notato, ma quando entri in video-lezione e li trovi già tutti collegati, beh, incredibile, ti sorridono e dicono “buongiorno prof”, che io invece ci sono delle volte che entro in classe e mi sento trasparente, che entro ed esco tre quattro volte dall’aula nella speranza che qualcuno mi saluti, ma al limite quello che ottengo è un “ah, prof, ma c’è anche lei”. A meno che non sia prevista una verifica: in quel caso loro sentono lo spostamento d’aria generato dal tuo intercedere quando sei ancora al piano terra e loro al terzo. Chiamiamoli pure super poteri.
Poi non è bello vederli lì nelle loro camerette? Vedere le mensole piene di peluche? Le pareti dalle tinte più improbabili? La foto della prima comunione alla parete? Il lampadario Ikea uguale al tuo? Il letto non ancora rifatto (e poi nel fotogramma successivo inspiegabilmente perfetto tipo camera d’albergo)?
Cosa? Il problema dei genitori che suggeriscono? Dite? Non so, i genitori sono troppo indaffarati… Cosa ne sa un genitore delle guerre napoleoniche, delle frazioni, del post-impressionismo… No, quelli sono i nonni, sono i nonni che al limite suggeriscono, sono i nonni che maneggiano di più i libri di testo. Santi nonni! E che suggeriscano, io faccio finta di niente…
Certo, oltre alle chicche ci sono gli inconvenienti. La connessione che va e viene? No, non mi riferivo a quella, la connessione c’è sempre ed è stratosferica in tutte le case del quartiere, sono gli alunni che si inventano all’occorrenza che va e viene, tipo quando fai una domanda a cui non sanno rispondere. Mi riferivo ad altri inconvenienti: l’aspirapolvere supersonico, il fratello piccolo che raglia, un genitore che parla al telefono urlando… Lo so, lo so, dovrebbero tutti disattivare il microfono. Io glielo faccio disattivare, ma dopo un po’ chiedo almeno a tre o quattro riattivarlo: ho bisogno di un po’ di brusio di sottofondo, tutto quel silenzio, la mia voce che rimbomba, non ce la faccio, è innaturale. E allora ben venga anche l’aspirapolvere.
E poi? Beh, poi ci sono delle cose che non cambiano proprio mai, sia a distanza che in classe:
“Prof posso andare in bagno, non ce la faccio proprio più, la prego?” “Ma sei a casa tua?! Potrò mai dirti di non andare in bagno?”
“Prof. ho dimenticato il quaderno” “Come sarebbe? Dimenticato dove??!! Siamo in quarantena!”
“Prof io il compito l’ho fatto ma non lo trovo” “Ma dove abiti, a Versailles??!!”
“Prof posso finire di fare colazione?” “…” (qui di solito resto senza parole, anzi ne approfitto e corro a prendere un biscotto anch’io)
Altre invece un pochino cambiano, ma proprio pochissimo:
“Prof ma che bel pigiama!” “Ma come ti permetti, questo è un pezzo trendissimo della mia collezione primavera-estate!”
“Prof ma è stata dalla parrucchiera?” “…” (anche in questo resto senza parole, forse perché fiuto una leggerissima presa in giro)
“Prof ma lo sa che anche mia mamma ha proprio quel modello di Bimby” “Scusate ragazzi, ma in cucina la connessione arriva meglio”
Potrei andare avanti per ore…
La didattica a distanza non è la scuola, però ci consente di ritrovarci ogni giorno, più o meno sorridenti, più o meno pettinati. Ci consente di mantenere un po’ di normalità in un periodo che ha dell’incredibile. Ci consente di andare avanti con il programma, e noi per programma intendiamo leggere poesie, parlare di libri, affrontare complicati problemi di matematica, risolvere enigmi grammaticali, apprezzare quadri, osservare il nostro pianeta, suonare uno strumento…
Lo schermo del pc, del tablet, del cellulare non è una barriera, ma il punto di incontro tra persone, grandi e meno grandi, che non avevano voglia di stare a rigirarsi i pollici, che a volte della scuola si lamentano, ma che della scuola hanno bisogno, così bisogno da sentirne la mancanza.
Sarà così fino a giugno? Spero tanto di no, ma se dovesse essere, si tratterà solo di aspettare un pochino di più prima di riabbracciarci tutti, per davvero e fortissimo.
Prof.ssa Marianna Munerotto